Genere: Politico/Thriller
Anno: 1972
Regia: Marco Bellocchio
Cast: Gian Maria Volontè, Fabio Garriba, Jacques Herlin, Laura Betti, Silvia Kramar, Massimo Patrone
Durata: 92'
Voto: 8/10
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Anno 1972, vigilia delle
elezioni politiche. A contendersi la fiducia del popolo sono la Democrazia
Cristiana, il Partito Comunista e la destra, da quella moderata fino alla più
estremista.
Il ritrovamento del
cadavere di una giovane ragazza presumibilmente violentata e successivamente
uccisa ad opera, sembrerebbe, di un giovane militante nelle fila della sinistra
estrema, viene utilizzato, dall’editore del
quotidiano Il Giornale e dal suo capo redattore Giancarlo Bizanti (interpretato
da G.M. Volontè), come strumento di discredito nei confronti della fazione
politica d’appartenenza del ragazzo.
Un vero colpo di fortuna
per le frange reazionarie, a cui non importa che a commettere davvero il
crimine sia stato qualcun altro, ma interessate solamente a trarre dalla
tragica vicenda il massimo profitto.
Prima del commento, menzione d'onore ad un attore d'eccezione, visibile sin dai primissimi fotogrammi in una ripresa amatoriale: un giovane Lucifero, nei panni di Ignazio La Russa intento a tenere un comizio.
Il film risale al 1972,
anno compreso nel periodo «impegnato» di Gian Maria Volontè, che ha inizio nel
1970 (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto) e che finisce,
diciamo per convenzione, nel 1986 con Il caso Moro. Gian Maria Volontè che è,
secondo il mio parere personale, il miglior attore italiano –
cinematograficamente parlando – di sempre.
Lo spettatore viene
catapultato nel mondo del giornalismo, e per la precisione nel mondo di quel
giornalismo che fa la corte al potere, un giornalismo che conosce il proprio
pubblico, e che perciò sa come colpirlo, come guidarlo e come, infine,
sfruttarlo.
Emblematico di questo
fatto la scena in cui Bizanti, guardando la televisione assieme alla moglie,
accusa questa di essere una cretina, pari in tutto e per tutto
all’intellettualmente mediocre «lettore medio» del proprio giornale. O ancora,
la «mini-lezione di giornalismo» che Bizanti tiene – seppur senza la
presunzione di essere Umberto Eco nè di trovarsi lì per tenere una lezione di
semantica applicata all’informazione - per un suo cronista (che poi avrà un
ruolo chiave nella vicenda), il quale pesa troppo poco le parole, risultando
pericolosamente anticonvenzionale rispetto alle rigide norme del Giornale.
Un film che io raccomando.
Può piacere o meno per i temi trattati, ad alcuni potrà sembrare noioso (non mi
stancherò mai di ripetere l’avvertenza in questi casi: se vi aspettate un
giallo, rimarrete delusi, dal momento che la vicenda poliziesca altro non è che
un «doppio pretesto»), ma guardato con gli occhi giusti sono certo non
deluderà.
Curiosità: Il Giornale in
questione non è Il Giornale che trovate in edicola (o su tablet nel caso foste
technology-addicted), nato solo due anni dopo, nel 1974.
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