martedì 7 gennaio 2014

Sbatti il mostro in prima pagina




Genere: Politico/Thriller
Anno: 1972
Regia: Marco Bellocchio
Cast: Gian Maria Volontè, Fabio Garriba, Jacques Herlin, Laura Betti, Silvia Kramar, Massimo Patrone
Durata: 92'
Voto: 8/10

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Anno 1972, vigilia delle elezioni politiche. A contendersi la fiducia del popolo sono la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e la destra, da quella moderata fino alla più estremista.
Il ritrovamento del cadavere di una giovane ragazza presumibilmente violentata e successivamente uccisa ad opera, sembrerebbe, di un giovane militante nelle fila della sinistra estrema, viene utilizzato, dall’editore del  quotidiano Il Giornale e dal suo capo redattore Giancarlo Bizanti (interpretato da G.M. Volontè), come strumento di discredito nei confronti della fazione politica d’appartenenza del ragazzo.
Un vero colpo di fortuna per le frange reazionarie, a cui non importa che a commettere davvero il crimine sia stato qualcun altro, ma interessate solamente a trarre dalla tragica vicenda il massimo profitto.

Prima del commento, menzione d'onore ad un attore d'eccezione, visibile sin dai primissimi fotogrammi in una ripresa amatoriale: un giovane Lucifero, nei panni di Ignazio La Russa intento a tenere un comizio.

Il film risale al 1972, anno compreso nel periodo «impegnato» di Gian Maria Volontè, che ha inizio nel 1970 (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto) e che finisce, diciamo per convenzione, nel 1986 con Il caso Moro. Gian Maria Volontè che è, secondo il mio parere personale, il miglior attore italiano – cinematograficamente parlando – di sempre.

Lo spettatore viene catapultato nel mondo del giornalismo, e per la precisione nel mondo di quel giornalismo che fa la corte al potere, un giornalismo che conosce il proprio pubblico, e che perciò sa come colpirlo, come guidarlo e come, infine, sfruttarlo.
Emblematico di questo fatto la scena in cui Bizanti, guardando la televisione assieme alla moglie, accusa questa di essere una cretina, pari in tutto e per tutto all’intellettualmente mediocre «lettore medio» del proprio giornale. O ancora, la «mini-lezione di giornalismo» che Bizanti tiene – seppur senza la presunzione di essere Umberto Eco nè di trovarsi lì per tenere una lezione di semantica applicata all’informazione - per un suo cronista (che poi avrà un ruolo chiave nella vicenda), il quale pesa troppo poco le parole, risultando pericolosamente anticonvenzionale rispetto alle rigide norme del Giornale.
Un film che io raccomando. Può piacere o meno per i temi trattati, ad alcuni potrà sembrare noioso (non mi stancherò mai di ripetere l’avvertenza in questi casi: se vi aspettate un giallo, rimarrete delusi, dal momento che la vicenda poliziesca altro non è che un «doppio pretesto»), ma guardato con gli occhi giusti sono certo non deluderà.


Curiosità: Il Giornale in questione non è Il Giornale che trovate in edicola (o su tablet nel caso foste technology-addicted), nato solo due anni dopo, nel 1974.

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