domenica 19 gennaio 2014

Pensiero


Questo blog non è certo tra i più seguiti, anzi, forse risulterebbe sul podio in una ipotetica classifica di quelli universalmente meno letti, ma è pur sempre una sorta di diario, un «diario in rete», che ha la particolarità di essere condiviso con chiunque capiti tra le sue pagine elettroniche, e per questo ho deciso di inserire una nuova sezione al suo interno, chiamata semplicemente «Pensieri».
Qui non entreranno recensioni cinematografiche né musicali, perlomeno, non da protagoniste. Entreranno, invece, considerazioni, pensieri appunto, riguardo qualunque cosa sia ritenuta importante e degna di conoscenza da parte mia e vostra, uno spazio dedicato precisamente al confronto ed alla condivisione di punti di vista. Fatta questa breve premessa, inizio subito con l’esposizione del primo dei «pensieri».

Da qualche tempo mi interrogo – più a fondo di quanto non abbia fatto in precedenza – circa il futuro, mio e di coloro che come me si trovano intorno ai vent’anni di età, e circa l’agire, mio e di tutti i miei coetanei, in un momento che di certo non è tra i più felici che si possano ricordare, non solo per ragioni legate alla situazione di crisi economica che bene o male tutti stiamo vivendo, ma anche, e soprattutto, mi sento di dire, per ragioni culturali.

Non ho la minima pretesa di descrivere il mondo in maniera univoca e incontestabile, ma la volontà di descriverne quella piccolissima parte che mi è dato conoscere e nella quale vivo.
In particolare, vorrei dare la mia interpretazione di quella che attualmente è la scuola, che nel mio caso si coniuga in Università, anche se da poco tempo a questa parte.
Fino a trenta, quaranta anni fa, l’università non era quello che è oggi.
Erano molte meno le persone a frequentarla, e non si proponeva, contrariamente a quanto succede attualmente, come standard, come passaggio praticamente obbligato per il mondo del lavoro. Chi amava una materia, proseguiva gli studi su di essa.
Sfortunatamente, con il passare degli anni, si è acuita la necessità di disporre di lavoratori sempre più qualificati, sempre più specializzati e, di conseguenza, sempre meno versatili.
Se per lavorare come bancario prima bastava la maturità classica, di ragioneria, o più in generale di istruzione superiore, ora serve la laurea, e di certo non quella triennale.
Quello che mi dà più da pensare – e che più mi preoccupa – è il come l’università venga vissuta da molte persone, ossia come una mera esperienza professionalizzante che non ha altri scopi se non quello di insegnare un mestiere, di formare futuri impiegati, manager o che altro, senza formare delle Persone.
Ancora adesso, all’interno di un corso di laurea, sento chi si lamenta per il fatto che si studino materie «non fondamentali» per ciò che si spera di fare in futuro.
E non pecca forse di eccessivo ottimismo – oltre a soffrire di manifesta chiusura mentale – chi fa questi discorsi? Come se ci fosse dovuto, e fosse certo, che un giorno noi possiamo fare quello che desideriamo.
Mi intristisce ascoltare i discorsi di persone che parlano di imbrogliare ad un esame universitario, per il fatto che si presume si sia scelto tale percorso perché piacesse, e soprattutto per il fatto che in generale ci si aspetta, da chi proviene dal mondo universitario, una preparazione solida proprio in virtù di detto interessamento alla materia.
E invece no, si formano ingegneri poco ingegnosi ed umanisti poco umani, che si rompono la testa solo perché «*********** è quella che garantisce maggiori sbocchi lavorativi!».
L’esempio è emblematico della situazione generale anche al di fuori del mondo dell’istruzione. Si da importanza alla cultura, alla crescita interiore, solo in rapporto al suo effettivo utile materiale, e non in rapporto al beneficio che essa può avere sul proprio spirito e sul miglioramento dei rapporti tra sé stessi e gli altri.
Un economicismo sempre più diffuso, che personalmente ritengo essere alla base della crisi che stiamo affrontando, che impedisce troppo spesso di immaginare sé stessi al posto di quello accanto, e che ci rende ogni giorno più egoisti.

Chi non ha mai ragionato sul fatto che non avrebbe mai e poi mai utilizzato la trigonometria per andare a comprare il pane?
Chiunque lo ha fatto, credo. Ed è vero. Alla gran parte delle persone non servirà a niente, la trigonometria, nella vita. Così come non servirà a nulla conoscere le vite di poeti vissuti migliaia di anni fa, le reazioni chimiche, la storia. Nessuna di queste cose servirà veramente, sopravvivremo, ve lo assicuro. Ma a quale prezzo?

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