Questo blog non è certo tra i più seguiti, anzi, forse risulterebbe sul podio in una ipotetica classifica di quelli universalmente meno letti, ma è pur sempre una sorta di diario, un «diario in rete», che ha la particolarità di essere condiviso con chiunque capiti tra le sue pagine elettroniche, e per questo ho deciso di inserire una nuova sezione al suo interno, chiamata semplicemente «Pensieri».
Qui non
entreranno recensioni cinematografiche né musicali, perlomeno, non da
protagoniste. Entreranno, invece, considerazioni, pensieri appunto, riguardo
qualunque cosa sia ritenuta importante e degna di conoscenza da parte mia e
vostra, uno spazio dedicato precisamente al confronto ed alla condivisione di
punti di vista. Fatta questa breve premessa, inizio subito con l’esposizione
del primo dei «pensieri».
Da qualche
tempo mi interrogo – più a fondo di quanto non abbia fatto in precedenza – circa
il futuro, mio e di coloro che come me si trovano intorno ai vent’anni di età,
e circa l’agire, mio e di tutti i miei coetanei, in un momento che di certo non
è tra i più felici che si possano ricordare, non solo per ragioni legate alla
situazione di crisi economica che bene o male tutti stiamo vivendo, ma anche, e
soprattutto, mi sento di dire, per ragioni culturali.
Non ho la
minima pretesa di descrivere il mondo in maniera univoca e incontestabile, ma
la volontà di descriverne quella piccolissima parte che mi è dato conoscere e
nella quale vivo.
In particolare,
vorrei dare la mia interpretazione di quella che attualmente è la scuola, che
nel mio caso si coniuga in Università, anche se da poco tempo a questa parte.
Fino a trenta,
quaranta anni fa, l’università non era quello che è oggi.
Erano molte
meno le persone a frequentarla, e non si proponeva, contrariamente a quanto
succede attualmente, come standard, come passaggio praticamente obbligato per il
mondo del lavoro. Chi amava una materia, proseguiva gli studi su di essa.
Sfortunatamente,
con il passare degli anni, si è acuita la necessità di disporre di lavoratori
sempre più qualificati, sempre più specializzati e, di conseguenza, sempre meno
versatili.
Se per
lavorare come bancario prima bastava la maturità classica, di ragioneria, o più
in generale di istruzione superiore, ora serve la laurea, e di certo non quella
triennale.
Quello che mi
dà più da pensare – e che più mi preoccupa – è il come l’università
venga vissuta da molte persone, ossia come una mera esperienza
professionalizzante che non ha altri scopi se non quello di insegnare un
mestiere, di formare futuri impiegati, manager o che altro, senza formare delle
Persone.
Ancora adesso,
all’interno di un corso di laurea, sento chi si lamenta per il fatto che si
studino materie «non fondamentali» per ciò che si spera di fare in futuro.
E non pecca
forse di eccessivo ottimismo – oltre a soffrire di manifesta chiusura mentale –
chi fa questi discorsi? Come se ci fosse dovuto, e fosse certo, che un giorno
noi possiamo fare quello che desideriamo.
Mi intristisce
ascoltare i discorsi di persone che parlano di imbrogliare ad un esame
universitario, per il fatto che si presume si sia scelto tale percorso perché
piacesse, e soprattutto per il fatto che in generale ci si aspetta, da chi
proviene dal mondo universitario, una preparazione solida proprio in virtù di
detto interessamento alla materia.
E invece no,
si formano ingegneri poco ingegnosi ed umanisti poco umani, che si rompono la
testa solo perché «*********** è quella che garantisce maggiori sbocchi
lavorativi!».
L’esempio è
emblematico della situazione generale anche al di fuori del mondo
dell’istruzione. Si da importanza alla cultura, alla crescita interiore, solo
in rapporto al suo effettivo utile materiale, e non in rapporto al beneficio
che essa può avere sul proprio spirito e sul miglioramento dei rapporti tra sé stessi
e gli altri.
Un
economicismo sempre più diffuso, che personalmente ritengo essere alla base
della crisi che stiamo affrontando, che impedisce troppo spesso di immaginare
sé stessi al posto di quello accanto, e che ci rende ogni giorno più
egoisti.
Chi non ha mai
ragionato sul fatto che non avrebbe mai e poi mai utilizzato la trigonometria
per andare a comprare il pane?
Chiunque lo ha
fatto, credo. Ed è vero. Alla gran parte delle persone non servirà a niente, la
trigonometria, nella vita. Così come non servirà a nulla conoscere le vite di
poeti vissuti migliaia di anni fa, le reazioni chimiche, la storia. Nessuna di
queste cose servirà veramente, sopravvivremo, ve lo assicuro. Ma a quale
prezzo?
Nessun commento:
Posta un commento