giovedì 27 febbraio 2014

Razzabastarda

Genere: Drammatico
Anno: 2013
Cast: Alessandro Gassman,Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto.
Regia: Alessandro Gassman
Durata: 106'
Voto: 4/10

Roman è uno spacciatore romeno, di madre zingara, immigrato in Italia per fuggire dal regime di Ceaușescu. Vive in una baracca nella periferia di Roma, dentro un cortile pieno di vecchie auto e gomme usate assieme al figlio Nicu e ad un vecchio cocainomane napoletano che si fa chiamare Gege, che lo aiuta negli affari. Ogni giorno prega davanti ad una statuetta della Madonna Nera, a cui ha fatto voto, e promette che la smetterà di spacciare coca, per sempre, non appena avrà abbastanza soldi per mantenere il figlio e dargli la possibilità di vivere una vita normale.
Ma le cose vanno male. Gli affari non producono abbastanza, i rapporti col figlio si fanno difficili. Nicu vive una profonda crisi adolescenziale; amicizie sbagliate, relazioni complicate e la consapevolezza crescente di essere una sorta di ibrido razziale tra italiano e romeno, rinchiuso in un limbo tra due mondi a cui non appartiene, senza riuscire a far nulla per uscirne. A peggiorare la situazione c’è il suo unico “amico”, una sorta di guru/artista decadente che si fa chiamare “il Talebano”, e che lo guida verso le scelte sbagliate con la calma e l’abilità del burattinaio, dimostrando di provarci un gusto immenso. Quando Roman decide di spacciare un grosso carico di eroina, per “fare il botto”, sistemarsi e chiudere con la droga, tutti i nodi vengono al pettine, tutto ciò che non deve accadere accade, e la vicenda crolla in una spirale di orrore e violenza senza via di uscita.

Ambientazione suggestiva ed elaborata per una vicenda che ha ben poco da aggiungere al panorama italiano del cinema “socialmente impegnato”. Un film con molti spunti interessanti, dotato di alcuni pregi, ma di troppi e troppo importanti difetti, un film che pecca del peccato più classico e più frequente del cinema non commerciale: sacrificare l’intrattenimento per non dare molto altro in cambio.

Voglio cercare di mettere assieme pregi e difetti in un discorso unico, perché è interessante vedere, almeno dal mio punto di vista, come gli uni siano anche gli altri, in molti casi, una caratteristica che probabilmente contribuisce alla insufficienza complessiva della pellicola.
L’interpretazione di Gassman è magistrale, il suo personaggio giganteggia per tutta la durata del film mostrando debolezze profondamente umane, per nulla artificiose, e una caratterizzazione solida ed ottimamente studiata; questo a discapito, spesso, degli altri personaggi, che si trovano messi in secondo piano anche quando non dovrebbero, e della vicenda, che non di rado perde di consistenza e di scorrevolezza durante i vari “pezzi di bravura” del protagonista. Da segnalare anche l’interpretazione di Manrico Gammarota, nel ruolo di Geco, il vecchio drogato amico di Roman, di Giovanni Anzaldo nel ruolo di Nicu, e Matteo Taranto in quello di Dragos, un pappone romeno “amico” di Roman che incarna decisamente bene lo stereotipo di ciò che rappresenta, ammesso che fosse questo l’obiettivo. Deboli (o debolissimi) invece altri personaggi, come quello del Talebano, che ha la profondità psicologica di una piastrella, e quello di Dorina, spogliarellista di cui Nicu si innamora, di sorprendente banalità e inopportunità per caratteristiche (stereotipo super classico di ragazza laureata, intelligente e sensibile, che si prostituisce per mantenere la famiglia etc. etc.), indipendentemente dall’interpretazione. Infierisco giusto un po’ sul Talebano: i suoi dialoghi, non mi pronuncio poi sulla recitazione, sono scontati e terribilmente prevedibili tanto quanto la sua figura di esserino diabolico e surreale, che non si tradisce mai nella sua cattiveria, rivolta verso il prossimo in generale. Tutte caratteristiche che non sembrano inserirsi in alcun disegno prestabilito, che vanno a cozzare con la componente realista del film, e che inoltre non fanno riferimento a nessuno stereotipo preciso, che ne darebbe almeno una chiave di lettura univoca. Fatto sta che il Talebano risulta stonato con tutto il contesto, con gli altri personaggi e soprattutto confuso nella sua stessa identità (poeta decadente, artista incompreso o compreso che non vuole essere compreso, intellettualoide superficiale armato, reincarnazione di belzebù, pappone, guru spirituale e chi più ne ha più ne metta)! Mi sono chiesto parecchie volte il perché di questo personaggio mentre guardavo il film e, onestamente, non saprei ancora adesso cosa rispondere.
Nel complesso sono invece da lodare la fotografia e molti degli aspetti estetici. Ottima la costruzione degli ambienti a metà fra il realistico e il simbolico, altrettanto ottimo il ritratto della comunità romena, che sembra renderne molto bene l’idea astenendosi cautamente da qualunque giudizio, soprattutto riguardo al razzismo, che ne è un elemento pervasivo (romeni vs zingari, romeni vs italiani e viceversa). Quest’efficacia descrittiva è sicuramente degna di nota, anche nel panorama internazionale, e lo è più che mai se pensiamo a quella fastidiosa ridondanza antirazzista da pubblicità della Ringo che è il tallone d’Achille di molti film di critica sociale (vedi “The Butler”, “Remember the Titans”…).

Punto debole dei punti deboli è l’impatto complessivo della pellicola, che appare frammentaria e confusa nei suoi intenti e nella sua realizzazione, con un misto di neorealismo revival, “fellinianesimo” poco convinto, pièce teatrali non convertite in formato cinematografico, insomma: tanti spunti interessanti che diventano dei difetti consistenti se non sono uniti da un filo conduttore preciso, da un disegno di fondo che permetta allo spettatore di interfacciarsi con l’intento comunicativo dell’autore. Un buon film (anche un grande film), può lasciare tanti interrogativi, domande prive di risposta, avere rotture nello schema di fondo, passaggi inaspettati e improvvisi, capovolgimenti, ma questi vanno sempre giustificati da una costante, una chiave di lettura fissa e accessibile, sennò diventa tutto un gran casino. “Razza Bastarda” è un discreto casino; la critica sociale passa, tutto il resto no.
Un film da rifare.

P.

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