Genere: Tech-House, Deep House
Autore: John Tejada
Anno: 2011
Voto: 8.5/10
Parabolas è un disco che bazzica nel mio iPod già da un bel po’, ma che non ho mai preso in considerazione per un ascolto serio, fino ad un paio di mesi fa.
L’avevo trovato negli archivi della Kompakt (una casa discografica tedesca) e l’ho scaricato per caso, un po’ per noia, senza aspettarmi nulla più che l’ennesimo album ambizioso ed “esclusivo” prodotto dai tedeschi. Ho dato un’occhiata ai pezzi, giusto per sentire come suonavano (10 secondi ciascuno probabilmente) e l’ho messo in “cantina” insieme ad una tonnellata di altri file in qualche cartella chissà dove. Quando poi l’ho ascoltato tutto, con calma, mi sono reso subito conto che il prodotto era tutto meno che assimilabile alla produzione media della Kompakt e che cestinarlo così precocemente era stato un grave errore.
Il principale aggettivo che mi sento di accostare a questo disco è “raffinato”. Ma non quella raffinatezza da poltrona di teatro e applauso contenuto, è qualcosa di molto più completo; capace di far ballare e ascoltare allo stesso tempo, cosa che capita di rado. La musica è elegante, semplice, concisa. Non v’è nulla di scontato, nulla di stereotipato ma allo stesso tempo le melodie sembrano abbastanza familiari e riconoscibili da poter coinvolgere chiunque nel loro discorso. Certo non è così semplice da ascoltare e non è fatto per tutti, ma come tutte le cose belle va preso con una certa pazienza e curiosità e soprattutto (in questo specifico caso), va ballato.
John Tejada raccoglie nella sua musica frammenti di un mondo binario, ripetitivo, che sembra un immenso alveare, con delle vere e proprie fotografie sonore di grande qualità. Le cose di cui ci parla sembrano davvero chiare, riconosciamo senza fatica i titoli delle canzoni nella loro musica, e il tutto sembra funzionare alla perfezione, come una macchina ben oliata.
Allora perché non gli do 10/10? Difficile da spiegare, come sempre quando i difetti sono pochi e ben nascosti da un’ottima musica. Mancano le parole, non sempre è un male, in questo caso penso di si. È un ottimo compendio, riveduto e corretto, dell’esperienza tech-house classica degli ultimi 20 anni, ma la perfezione formale accompagnata agli ottimi spunti melodici non lasciano troppo spazio ad elementi veramente nuovi e geniali, che spesso si trovano in dischi molto meno “perfetti” di questo.
Per un primo ascolto consiglio “The living Night”, “Mechanized World”, e “Farther And Fainter”, la prima traccia dell’album e forse quella che sintetizza meglio sia le lodi sia le critiche che ho rivolto a questo disco.
P.
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