giovedì 13 marzo 2014

Snowpiercer

Genere: Fantascienza
Anno: 2014
Cast: Chris Evans, Tilda Swinton, John Hurt, Jamie Bell, Song Kang-ho.
Regia: Bong Joon-ho
Durata: 126'
Voto: non classificato

La mia opinione su questo film potrebbe essere facilmente dedotta dal voto (o meglio “non voto”) che gli ho dato, senza che sia necessario andare oltre nella lettura della recensione. Ma per onor di cronaca, e gusto dell’insulto, sento il bisogno, il dovere di dedicargli qualche riga di commento, almeno per giustificare la mia non-valutazione e prevenire un forte mal di stomaco a coloro che hanno intenzione di andare a vedere il film impreparati, o addirittura speranzosi.

Snowpiercer è difficile da valutare approfonditamente, anche perché non vedo la necessità di sprecare aggettivi come atroce, inguardabile, incomprensibile, superficiale, scontato, per un film che è semplicemente tremendamente brutto nel suo insieme e nelle sue parti. L’unico aspetto che sarebbe degno di critica è l’ambientazione: un treno, in costante movimento per sottrarsi alla morte, che è la stasi, il gelo. Ma questa non è altro che una ottimistica allucinazione interpretativa, sorta probabilmente guardando il trailer o la copertina del DVD, senza sapere nulla della trama, sperando che le proprie intuizioni di appassionato di fantascienza post-apocalittica non tradiscano. Il tutto crolla quando scopri di esserti sbagliato e che l’unica cosa positiva della pellicola te la sei inventata tu prima ancora di andarla a vedere.
La trama, anzi, tutto il film, comprese le scelte estetiche, la fotografia, i personaggi (recitazione da tapiro d’oro, nessuno escluso), l’inopportuna sceneggiatura, che fa invidia ai peggiori episodi di Renegade o dell’ A-Team degli anni d’oro, è un collage di citazioni, alcune più generiche, provenienti dal cinema di bassa lega anni 2000 (vedi “Hunger Games”, “The day after tomorrow”, “2012”, “Ultimatum alla Terra” etc…), altre invece più specifiche, provenienti da alcuni classiconi illustri del cinema hollywoodiano e trattate con una mancanza di rispetto ed una superficialità che lascia a bocca aperta (la scena della torcia da “il Signore degli Anelli - Le due torri”, la scena della battaglia all’arma bianca da “300” e chi più ne ha più ne metta).
Il messaggio del film è un misto di critica e celebrazione (avrei voluto poter parlare di caricatura, perché era quello che ho sperato di vedere fino alla fine, per poi essere smentito clamorosamente), di una società classista e corrotta, chissà di dove chissà di quando (il regista non si cura di specificarlo), di cui il treno dovrebbe essere un'allegoria, ma non lo è affatto. Senza aggiungere interpretazioni licenziose rimane solo una storiella di fantascienza violenta, pretenziosa, insensata ed assolutamente gratuita (gratuita, gratuita, gratuita!!), che non aggiunge nulla al panorama cinematografico, nulla alla letteratura, nulla all’estetica, nulla a nulla.

Non gli ho dato un voto, perché la sufficienza e l’insufficienza presumono una critica di un qualche genere, che sia costruttiva, che consista nel mettere in evidenza i punti di forza e i punti deboli del film, dando al potenziale spettatore strumenti utili ad apprezzare, nel bene e nel male, la pellicola (obiettivo di qualunque recensione).
Qui non c’è nulla da criticare, c’è solo un terreno fertile per insulti, stroncamenti facili (come il mio dopotutto) e qualche tentativo di interpretazione o inferenza che non si basa certo sul film, ma sul titolo o sul trailer, perché nel film, sfido chiunque a negarlo, non c’è proprio niente da capire.

giovedì 27 febbraio 2014

Razzabastarda

Genere: Drammatico
Anno: 2013
Cast: Alessandro Gassman,Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto.
Regia: Alessandro Gassman
Durata: 106'
Voto: 4/10

Roman è uno spacciatore romeno, di madre zingara, immigrato in Italia per fuggire dal regime di Ceaușescu. Vive in una baracca nella periferia di Roma, dentro un cortile pieno di vecchie auto e gomme usate assieme al figlio Nicu e ad un vecchio cocainomane napoletano che si fa chiamare Gege, che lo aiuta negli affari. Ogni giorno prega davanti ad una statuetta della Madonna Nera, a cui ha fatto voto, e promette che la smetterà di spacciare coca, per sempre, non appena avrà abbastanza soldi per mantenere il figlio e dargli la possibilità di vivere una vita normale.
Ma le cose vanno male. Gli affari non producono abbastanza, i rapporti col figlio si fanno difficili. Nicu vive una profonda crisi adolescenziale; amicizie sbagliate, relazioni complicate e la consapevolezza crescente di essere una sorta di ibrido razziale tra italiano e romeno, rinchiuso in un limbo tra due mondi a cui non appartiene, senza riuscire a far nulla per uscirne. A peggiorare la situazione c’è il suo unico “amico”, una sorta di guru/artista decadente che si fa chiamare “il Talebano”, e che lo guida verso le scelte sbagliate con la calma e l’abilità del burattinaio, dimostrando di provarci un gusto immenso. Quando Roman decide di spacciare un grosso carico di eroina, per “fare il botto”, sistemarsi e chiudere con la droga, tutti i nodi vengono al pettine, tutto ciò che non deve accadere accade, e la vicenda crolla in una spirale di orrore e violenza senza via di uscita.

Ambientazione suggestiva ed elaborata per una vicenda che ha ben poco da aggiungere al panorama italiano del cinema “socialmente impegnato”. Un film con molti spunti interessanti, dotato di alcuni pregi, ma di troppi e troppo importanti difetti, un film che pecca del peccato più classico e più frequente del cinema non commerciale: sacrificare l’intrattenimento per non dare molto altro in cambio.

Voglio cercare di mettere assieme pregi e difetti in un discorso unico, perché è interessante vedere, almeno dal mio punto di vista, come gli uni siano anche gli altri, in molti casi, una caratteristica che probabilmente contribuisce alla insufficienza complessiva della pellicola.
L’interpretazione di Gassman è magistrale, il suo personaggio giganteggia per tutta la durata del film mostrando debolezze profondamente umane, per nulla artificiose, e una caratterizzazione solida ed ottimamente studiata; questo a discapito, spesso, degli altri personaggi, che si trovano messi in secondo piano anche quando non dovrebbero, e della vicenda, che non di rado perde di consistenza e di scorrevolezza durante i vari “pezzi di bravura” del protagonista. Da segnalare anche l’interpretazione di Manrico Gammarota, nel ruolo di Geco, il vecchio drogato amico di Roman, di Giovanni Anzaldo nel ruolo di Nicu, e Matteo Taranto in quello di Dragos, un pappone romeno “amico” di Roman che incarna decisamente bene lo stereotipo di ciò che rappresenta, ammesso che fosse questo l’obiettivo. Deboli (o debolissimi) invece altri personaggi, come quello del Talebano, che ha la profondità psicologica di una piastrella, e quello di Dorina, spogliarellista di cui Nicu si innamora, di sorprendente banalità e inopportunità per caratteristiche (stereotipo super classico di ragazza laureata, intelligente e sensibile, che si prostituisce per mantenere la famiglia etc. etc.), indipendentemente dall’interpretazione. Infierisco giusto un po’ sul Talebano: i suoi dialoghi, non mi pronuncio poi sulla recitazione, sono scontati e terribilmente prevedibili tanto quanto la sua figura di esserino diabolico e surreale, che non si tradisce mai nella sua cattiveria, rivolta verso il prossimo in generale. Tutte caratteristiche che non sembrano inserirsi in alcun disegno prestabilito, che vanno a cozzare con la componente realista del film, e che inoltre non fanno riferimento a nessuno stereotipo preciso, che ne darebbe almeno una chiave di lettura univoca. Fatto sta che il Talebano risulta stonato con tutto il contesto, con gli altri personaggi e soprattutto confuso nella sua stessa identità (poeta decadente, artista incompreso o compreso che non vuole essere compreso, intellettualoide superficiale armato, reincarnazione di belzebù, pappone, guru spirituale e chi più ne ha più ne metta)! Mi sono chiesto parecchie volte il perché di questo personaggio mentre guardavo il film e, onestamente, non saprei ancora adesso cosa rispondere.
Nel complesso sono invece da lodare la fotografia e molti degli aspetti estetici. Ottima la costruzione degli ambienti a metà fra il realistico e il simbolico, altrettanto ottimo il ritratto della comunità romena, che sembra renderne molto bene l’idea astenendosi cautamente da qualunque giudizio, soprattutto riguardo al razzismo, che ne è un elemento pervasivo (romeni vs zingari, romeni vs italiani e viceversa). Quest’efficacia descrittiva è sicuramente degna di nota, anche nel panorama internazionale, e lo è più che mai se pensiamo a quella fastidiosa ridondanza antirazzista da pubblicità della Ringo che è il tallone d’Achille di molti film di critica sociale (vedi “The Butler”, “Remember the Titans”…).

Punto debole dei punti deboli è l’impatto complessivo della pellicola, che appare frammentaria e confusa nei suoi intenti e nella sua realizzazione, con un misto di neorealismo revival, “fellinianesimo” poco convinto, pièce teatrali non convertite in formato cinematografico, insomma: tanti spunti interessanti che diventano dei difetti consistenti se non sono uniti da un filo conduttore preciso, da un disegno di fondo che permetta allo spettatore di interfacciarsi con l’intento comunicativo dell’autore. Un buon film (anche un grande film), può lasciare tanti interrogativi, domande prive di risposta, avere rotture nello schema di fondo, passaggi inaspettati e improvvisi, capovolgimenti, ma questi vanno sempre giustificati da una costante, una chiave di lettura fissa e accessibile, sennò diventa tutto un gran casino. “Razza Bastarda” è un discreto casino; la critica sociale passa, tutto il resto no.
Un film da rifare.

P.

venerdì 14 febbraio 2014

Sun Structures






Genere: Psichedelic/Brit-Rock

Autore: Temples
Anno: 2014
Voto: 8.5/10


I Temples sono un gruppo inglese di Kettering, Northamptonshire. Io non ho la minima idea di dove si trovi, ma è proprio il background bucolico ad essere fondamentale nell'analisi di questo complesso.


Opera prima, "Sun Structures" colpisce dalle prime note per la maturità compositiva che mostrano Bagshaw e Warmsley, rispettivamente cantante/chitarrista e bassista, nonché curatori di tutti i brani. Non tradiscano i palati più raffinati l'uso smodato di chorus e reverb, retaggio dell'influenza della psichedelia 60's. Perché nonostante non ci sia nulla di nuovo in questo album, dopo uno e più ascolti rimane un intenso senso di soddisfazione personale. Perché parlare di un album che non aggiunge nulla di nuovo nel panorama musicale? Proprio perché l'insistenza su sperimentalismi spesso fini a se stessi e innovazioni forzate ha portato in questi ultimi anni a osannare fautori di lavori tanto "innovativi" quanto poco ispirati, vedasi l'ultimo di James Blake.

"Sun structures" ci riporta ai suoni dei migliori Kasabian, i tipici lirismi brit degli Arctic Monkeys accompagnati da un'esplosività di suoni e colori al peyote in puro stile Flaming Lips. Certo, mancano le batterie spasmodiche ed i ritmi serrati, in favore di un'ambientazione più ballad. D'altronde lo stile è tipicamente pop, seppur infarcito di suoni talvolta duri. E se a volte i due inglesini eccedono nell'arrangiamento (temibili le tastierine 80's in The Golden Throne), c'è da dire che la ricerca della melodia è sempre azzeccata (Sun Structures, Keep in the Dark, Move With The Season, vera perla dell'album).


Nonostante i Temples siano assai lontani dal lasciare la loro impronta nella storia della musica, è proprio questa estemporaneità della loro prima fatica a renderla unica, "coraggiosa" e in un certo senso anticonformista.
Niente di più semplice, è solamente un album che vale la pena ascoltare.



Parabolas

Genere: Tech-House, Deep House
Autore: John Tejada
Anno: 2011
Voto: 8.5/10

Parabolas è un disco che bazzica nel mio iPod già da un bel po’, ma che non ho mai preso in considerazione per un ascolto serio, fino ad un paio di mesi fa.
L’avevo trovato negli archivi della Kompakt (una casa discografica tedesca) e l’ho scaricato per caso, un po’ per noia, senza aspettarmi nulla più che l’ennesimo album ambizioso ed “esclusivo” prodotto dai tedeschi. Ho dato un’occhiata ai pezzi, giusto per sentire come suonavano (10 secondi ciascuno probabilmente) e l’ho messo in “cantina” insieme ad una tonnellata di altri file in qualche cartella chissà dove. Quando poi l’ho ascoltato tutto, con calma, mi sono reso subito conto che il prodotto era tutto meno che assimilabile alla produzione media della Kompakt e che cestinarlo così precocemente era stato un grave errore.

Il principale aggettivo che mi sento di accostare a questo disco è “raffinato”. Ma non quella raffinatezza da poltrona di teatro e applauso contenuto, è qualcosa di molto più completo; capace di far ballare e ascoltare allo stesso tempo, cosa che capita di rado. La musica è elegante, semplice, concisa. Non v’è nulla di scontato, nulla di stereotipato ma allo stesso tempo le melodie sembrano abbastanza familiari e riconoscibili da poter coinvolgere chiunque nel loro discorso. Certo non è così semplice da ascoltare e non è fatto per tutti, ma come tutte le cose belle va preso con una certa pazienza e curiosità e soprattutto (in questo specifico caso), va ballato.
John Tejada raccoglie nella sua musica frammenti di un mondo binario, ripetitivo, che sembra un immenso alveare, con delle vere e proprie fotografie sonore di grande qualità. Le cose di cui ci parla sembrano davvero chiare, riconosciamo senza fatica i titoli delle canzoni nella loro musica, e il tutto sembra funzionare alla perfezione, come una macchina ben oliata.
Allora perché non gli do 10/10? Difficile da spiegare, come sempre quando i difetti sono pochi e ben nascosti da un’ottima musica. Mancano le parole, non sempre è un male, in questo caso penso di si. È un ottimo compendio, riveduto e corretto, dell’esperienza tech-house classica degli ultimi 20 anni, ma la perfezione formale accompagnata agli ottimi spunti melodici non lasciano troppo spazio ad elementi veramente nuovi e geniali, che spesso si trovano in dischi molto meno “perfetti” di questo.

Per un primo ascolto consiglio “The living Night”, “Mechanized World”, e “Farther And Fainter”, la prima traccia dell’album e forse quella che sintetizza meglio sia le lodi sia le critiche che ho rivolto a questo disco.
P.

mercoledì 29 gennaio 2014

I sogni segreti di Walter Mitty






Genere: Commedia, Avventura, Drammatica
Anno: 2013
Cast: Ben Stiller, Kristen Wiig, Adam Scott, Sean Penn, Shirley MacLaine
Regia: Ben Stiller
Durata: 114'
Voto: 7/10


Walter Mitty è un impiegato quarantenne di “Life”, una rivista statunitense, della quale, più precisamente, è il responsabile dell’archivio fotogrammi. Conduce una vita assolutamente mediocre, dettata da una serie di disgrazie adolescenziali, che l’hanno portato a diventare l’ "uomo di casa" e a scartare coraggiosamente i propri sogni per iniziare a lavorare fin dalla giovane età.
Ciò nonostante Walter rimane per tutta la sua vita un sognatore, uno di quegli individui che durante tutta la giornata iniziano a viaggiare follemente di immaginazione e che, nella realtà, si trovano spesso incantati con lo sguardo perso nel vuoto. Ma ad un tratto la sua vita cambia. La rivista dove lavora da 16 anni avvia una scrematura di dipendenti e inizia così un nuovo capitolo della vita di questo comune impiegato statunitense. Grazie alla donna di cui si è innamorato i sogni dell’infanzia di Walter diventano realtà e, accompagnata dalle note di Space Oddity, inizia un'entusiasmante avventura che lo porta a viaggiare dalla Groenlandia all’ Himalaya. 

Ennesimo documento testimone della geniale comicità di Ben Stiller (Walter Mitty), il film è un buon compendio di forti emozioni e grasse risate. Accompagnati da riflessioni personali e da scene veramente divertenti, vengono trattati temi toccanti come la perdita del padre in giovane età e il dramma di realizzare a quarant’anni che i propri sogni di ragazzo non sono stati per niente rispettati. Un invito quindi alle giovani generazioni ad interpretare questa pellicola come una possibile degenerazione del proprio essere.
Ulteriore pregio del film è la fotografia, che spesso e volentieri cattura delle immagini di paesaggi veramente emozionanti. Il film si presenta inoltre con un ottimo cast, composto da Ben Stiller (attore protagonista e regista), Sean Penn , Kristen Wiig, Adam Scott.

martedì 28 gennaio 2014

American Hustle - L'apparenza inganna


   







Genere: Drammatico
Anno: 2013
Cast: Christian Bale, Bradley Cooper, Amy Adams, Jeremy Renner, Jennifer Lawrence, Robert De Niro
Regia: David O. Russell
Durata: 138'
Voto: 8/10


Irving Rosenfeld è un truffatore di professione, un personaggio squallido con parrucchino e pancia gonfia, camice aperte e catenone d'oro, piena decadenza 70's. Irving è un personaggio che riesce ad emergere dagli abissi del Bronx e per spirito di sopravvivenza si reinventa genio dell'imbroglio in diversi campi, da quello finanziario a quello artistico del falso.

L'innamoramento per una giovane donna, anch'essa scappata con intraprendenza dal mondo dei "sommersi", porterà il protagonista, interpretato da un fantastico Christian Bale, ad entrare in un gioco di mafia, politica e ambizioni personali.


Per quanto "American Hustle" non sia particolarmente originale nella trama e nella sceneggiatura, l'alto valore cinematografico è da ritrovare nella bravura del cast, che da Christian Bale, come al solito camaleontico, alla giovane Jennifer Lawrance diventata famosa con la serie del distopico "Hunger Games", ci riserva prove eccezionali. 

In corsa per quasi tutte le categorie agli oscar, "American Hustle" è un film che non deluderà le vostre attese.


                                                                                                                                   

                                                                                                                                         D.

martedì 21 gennaio 2014

The Conjuring - L'Evocazione


Genere: Horror
Anno: 2013
Cast: Patrick Wilson, Vera Farmiga, Lili Anne Taylor, Ron Livingston
Regia: James Wan
Durata: 111'
Voto: 7/10


Mi sono fatto fregare.
Cercavo un bel film horror da vedere, e siccome lo volevo bello davvero, ho commesso il fatale errore di affidarmi alle 4 stelle su 5 che vari, autorevoli siti, gli davano.
L’Evocazione. Un film che, in quanto a trama, non è certo banale, ma peggio. Una famiglia che si trasferisce, una casa infestata.
Gli occasionali avvenimenti inusuali all'interno della casa si trasformano ben presto in un incubo dal quale la famigliola farà immensa fatica ad uscire. Presenti all'appello due acchiappafantasmi, lo scettico di turno e, immancabili, gli spettri maligni.
Sembra proprio la trama di un “Piccoli brividi” oppure di un libro di Stephen King, insomma, un polpettone cinematografico non da poco, se non fosse che le locandine, ed i titoli di testa, recano la dicitura «tratto da una storia vera».
Ebbene, a dispetto della trama, il film, bisogna riconoscerglielo, fa paura.
Presenta attimi di autentica tensione uniti a momenti da salto sulla sedia, o chi per lei, con eventuale annessa imprecazione da parte dei più deboli di cuore.
Tecnicamente ineccepibile, gliene do atto: l’ambientazione è ben resa ed è «naturale» al punto giusto, con interpretazioni buone – tenendo sempre bene a mente lo standard di film horror della tipologia in questione.

Al di là di questo, non introduce nulla di nuovo nello sterminato panorama degli horror: una volta subiti i debiti spaventi, di questo film non rimane molto in testa. Insomma un film da una botta e via, per così dire, da guardare solo se si ama il genere o se non si ha niente di meglio da fare in una notte proverbialmente buia e, preferibilmente, anche tempestosa.

Per gli interessati, un link alla pagina wikipedia circa i personaggi reali su cui si basa il film: questo.

                                                                                                                                      M.